I Capolavori

Il Tesoro di San Gennaro ospita alcune delle più raffinate espressioni del barocco universale. Capolavori assoluti di architettura, arte e paesaggio si fondono alla contemporaneità in una combinazione perfetta di bellezza e maestosità.

La Mitra

Anno di commissione

1710

Autori

Matteo Treglia

Materiali

Argento Dorato

Gioielli incastonati

Diamanti,

rubini e smeraldi

Descrizione

Davanti a voi appare la mitra che la Deputazione fece realizzare dall’orafo napoletano Matteo Treglia per ornare il busto del Santo Patrono durante la processione di maggio.

Matteo discendeva da una grande tradizione di arte orafa, quella della famiglia Treglia. Il padre Aniello era console del Borgo Orefici e la sua bottega era una vera e propria scuola in cui Matteo e i fratelli crebbero e si formarono.

La Deputazione aveva grande stima di Aniello Treglia e, dopo la sua morte, dette fiducia anche a Matteo che fin da bambino aveva manifestato una grande maestria orafa. Per questo nel 1710 gli affidò il compito di sistemare il cannoletto che regge le ampolle del Sangue di San Gennaro. I deputati rimasero così colpiti che, due anni dopo, gli commissionarono la realizzazione della mitra.

Per eseguire l’opera, la Deputazione mise a disposizione numerose pietre e oggetti preziosi, ma l’orafo decise di montare sulla mitra solo diamanti, rubini e smeraldi seguendo la simbologia religiosa legata alle pietre: la fede inattaccabile dei diamanti, la carità dei rubini e la speranza degli smeraldi.

La Mitra è in argento dorato e per il suo complesso disegno, Treglia si ispirò ai ricami su tessuto tipici delle mitre indossate dai Vescovi. In totale vi incastonò 3326 diamanti, 198 smeraldi e 168 rubini, per un peso complessivo di 18 kg!

Osservate nella parte anteriore due gemme rare: un grande rubino di Ceylon, denominato “Lava del Vesuvio” e il diamante a goccia, la pietra più costosa della composizione, perché presenta il taglio brillante a 58 sfaccettature, molto innovativo per l’epoca. Gli smeraldi più grandi, invece, provengono dalla Colombia e portano il nome dei membri della Deputazione che commissionarono la Mitra.

Sul retro l’opera è completata da due infule, i due nastri pendenti tempestati di gemme sul cui rovescio sono incise le immagini delle ampolle e di San Gennaro, i nomi dei committenti della Deputazione e la dicitura Matthaeus Treglia fieri curavit, cioè Matteo Treglia curò l’esecuzione, perché la Mitra fu opera di decine di maestri da lui coordinati.

L’opera è rimasta nei secoli un capolavoro assoluto di oreficeria, tanto che 300 anni dopo la sua esecuzione, al maestro orafo è stata dedicata una targa commemorativa nella piazzetta di Borgo Orefici che così recita:

«In questo borgo operava il magnifico Matteo Treglia, artefice di opere mirabili di arte orafa, che sapeva coniugare inventiva, destrezza tecnica e sapienza artigiana.»

La Cappella

Anno di commissione

1527

Autori

Domenichino, Jusepe de Ribera, Giovanni Lanfranco etc, etc.

Materiali

Vari

Funzione

Ex voto per la cessazione di terremoti, guerre e carestie

Descrizione

La Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, situata nel Duomo di Napoli, è un’istituzione laica gestita dalla Deputazione. Questo organo civico tutela il culto del Santo, le sue reliquie – il cranio e le ampolle del Sangue, conservati in una cassaforte – e un vasto patrimonio.

La costruzione della Cappella iniziò nel 1527, un periodo drammatico per Napoli a causa di guerre, pestilenze ed eruzioni del Vesuvio. La città fece voto a San Gennaro, promettendo una nuova, magnifica Cappella in cambio della cessazione delle calamità. Questo voto, siglato il 13 gennaio 1527, è considerato un vero e proprio contratto tra Napoli e il suo Patrono. Nonostante il costo iniziale stimato, la spesa finale fu considerevolmente maggiore. La Deputazione acquistò e demolì diverse strutture per far spazio alla Cappella, la cui fondazione la dichiarò proprietà di tutti i cittadini napoletani.

Il progetto fu affidato a Francesco Grimaldi, che concepì una cupola a doppia calotta. Per le decorazioni, furono chiamati artisti di fama nazionale come il Domenichino e Giovanni Lanfranco per gli affreschi e le pale d’altare, e lo Spagnoletto per un dipinto significativo. Nonostante le difficoltà e le resistenze dei pittori locali, questi maestri completarono opere fondamentali, con Lanfranco che affrescò la cupola raffigurando il paradiso.

La Cappella è nota per ospitare la più vasta collezione al mondo di 53 busti d’argento dei Santi protettori di Napoli. Tra i tesori artistici si distingue il paliotto d’altare barocco di Giovan Domenico Vinaccia (1695), che narra il ritorno delle reliquie di San Gennaro. Le opere più centrali per il culto sono il busto angioino del 1304 e la teca con le ampolle del Sangue, conservate in una cassaforte dietro l’altare. Questa viene aperta con quattro chiavi, due dall’Arcivescovo e due dalla Deputazione, per il prodigio della liquefazione del Sangue, celebrato tre volte l’anno.

Altri elementi degni di nota includono i due organi e due cori, che la rendono il primo spazio quadrifonico al mondo, il suggestivo cancello in ottone di Cosimo Fanzago (1665) e la preziosa Mitra di San Gennaro (1712), incastonata con migliaia di diamanti, smeraldi e rubini. I candelabri monumentali (“splendori”) del 1745 simboleggiano le Virtù Teologali e Cardinali, ribadendo con gli stemmi di Napoli l’identità cittadina della Cappella.

Aree adiacenti come la Sacrestia di Luca Giordano e la Cappella dell’Immacolata arricchiscono ulteriormente il complesso. La Cappella incarna la profonda relazione tra Napoli e San Gennaro, un connubio unico di fede, arte e storia.

Le statue d'argento

Anno di commissione

????

Autori

Vari

Materiali

Argento e Oro

Funzione

Reliquiari

Descrizione

Il Tesoro di San Gennaro a Napoli vanta una collezione eccezionale di manufatti in argento, frutto della rinomata oreficeria napoletana. La Cappella ospita la più grande collezione al mondo di busti in argento, un totale di 54 busti che raffigurano i 53 compatroni di Napoli e la Vergine Maria. Questa abbondanza riflette la tendenza napoletana all’esagerazione, rendendo Napoli la città con più compatroni al mondo.

Tra le opere centrali vi è il busto reliquiario di San Gennaro, commissionato da Carlo II d’Angiò nel 1304. Originariamente custodito nella piccola cappella del Tesoro Vecchio, nel 1646 fu trasferito nella nuova Cappella di San Gennaro insieme alle statue dei primi sei compatroni. Oggi, questo busto è adornato durante la processione di maggio da una collana di gioielli preziosi, donata dalla famiglia Spera nel 1704.

Gli orafi napoletani realizzarono questi capolavori avvalendosi dei migliori artisti del tempo: pittori per i bozzetti, scultori per i calchi e orafi per l’assemblaggio finale. Un esempio notevole è la Mitra di San Gennaro, creata nel 1712 dall’orafo Matteo Treglia. Quest’opera, in argento dorato, si ispira ai ricami su tessuto delle mitre vescovili ed è impreziosita da 3326 diamanti, 198 smeraldi e 168 rubini, con un peso totale di 18 kg. Presenta anche un raro rubino di Ceylon e un prezioso diamante a goccia.

La collezione include anche le statue d’argento dei santi protettori. Tra queste, si trova la statua dell’Arcangelo Michele, capolavoro di Giovan Domenico Vinaccia (che tradusse in argento un disegno di Lorenzo Vaccaro) commissionata nel 1688 dopo un terremoto. Il busto di Sant’Emidio, che placa le eruzioni del Vesuvio, fu realizzato dall’argentiere Domenico De Angelis. La statua di Santa Irene, protettrice dai fulmini, è un’opera in argento e bronzo del 1733 di Carlo Schisano, che la raffigura mentre protegge una dettagliata rappresentazione di Napoli settecentesca.

Gli “splendori”, due grandi candelabri d’argento del 1745 di Filippo Del Giudice, simboleggiano le Virtù Teologali e Cardinali, con gli stemmi di Napoli che ne rimarcano il legame con la città. La croce d’altare Spera, in argento sbalzato e corallo, è un altro esempio dell’unicità di questo Tesoro, rimasto intatto dal 1305 grazie alla costante cura della Deputazione.

La Collana

Anno di commissione

1679

Autori

Michele Dato e altri

Materiali

Oro

Gioielli incastonati

Diamanti, smeraldi

Descrizione

La collana che vedete è un oggetto di valore inestimabile che raccoglie doni di re, regine e devoti e racconta 250 anni di storia dell’Europa a Napoli.
La prima fascia, quella superiore, costituita da tredici maglie d’oro, fu commissionata dalla Deputazione a Michele Dato nel 1679, per ornare il busto del Santo durante la processione. Il motivo decorativo alterna elementi di forma circolare con parti di raccordo che conferiscono alla collana la morbida linea curva necessaria per adattarsi al busto. Le pietre, poi, rappresentano le virtù teologali: il diamante, indistruttibile come la Fede; lo smeraldo emblema della Speranza e il rubino simbolo della Carità.

Nel 1732, face aggiungere un prezioso fermaglio composto da sette smeraldi e diamanti, posto al centro della collana insieme al giglio di brillanti donato da Maria Immacolata di Borbone e la spilla donata da Francesco I di Borbone.
Ma osservate la parte bassa che accoglie cinque elementi uno più prezioso dell’altro: a sinistra, sotto la spilla di Francesco I, compare la croce di diamanti e zaffiri offerta da sua madre Maria Carolina d’Austria. Proseguendo, si trova la croce in olivine e diamanti che fu donata da re Vittorio Emanuele II di Savoia insieme alla spilla collocata simmetricamente sul lato opposto. Nella parte centrale, vedete le due croci donate rispettivamente da Carlo III e da sua moglie Maria Amalia di Sassonia.

L’ultima croce di smeraldi e diamanti è un dono di Giuseppe Bonaparte.

Il 15 febbraio 1806 Giuseppe Bonaparte fece solenne ingresso a Napoli e l’11 marzo l’Imperatore Napoleone Bonaparte, suo fratello, lo nominò Re della città.
In occasione del primo ingresso a Napoli, assistette in cattedrale al TE DEUM di ringraziamento e fece omaggio al Santo Patrono di questa croce di diamanti.
Voleva guadagnare le simpatie dei sudditi e, durante il suo governo, si dedicò a modernizzare lo Stato, ad abbellire la capitale e a incoraggiare la cultura; per questo si circondava di artisti talentuosi e dava feste sontuose.

I Francesi, a dispetto delle aspettative, non riuscirono a consolidare la conquista nemmeno con le misure forti, consigliate insistentemente da Napoleone, che accusava il fratello di avere il cuore troppo buono.
Napoleone voleva portare anche la Spagna sotto il suo dominio e decise di trasferirlo a Madrid, ma lui accettò malvolentieri. Era ambizioso si, ma così amante dei piaceri che a Napoli si ero trovato bene, tanto che lo chiamavano Re filosofo.
E poi a Napoli aveva incontrato il più grande amore della sua vita, la trentunenne Maria Giulia Colonna, moglie del duca d’Atri, da cui ebbe un figlio, Giulio, non legittimato.

Insomma questa croce è proprio la testimonianza della forza di San Gennaro e dei napoletani, perché i Bonaparte, dovunque siano andati, hanno preso, rubato e saccheggiato: a Napoli, invece, hanno donato.

Al centro, in alto, si trova un anello con diamante, donato nel 1933 da Maria José, consorte di Re Umberto II di Savoia.

«In questo borgo operava il magnifico Matteo Treglia, artefice di opere mirabili di arte orafa, che sapeva coniugare inventiva, destrezza tecnica e sapienza artigiana.»